L'abbigliamento nel sociale

30 Ottobre 2012 0 di Elvio

Di solito, per abbigliamento, si intende esclusivamente quella serie di oggetti che l’essere umano indossa, non le pratiche che contribuiscono a cambiare l’aspetto di un individuo.
Quindi i casi in cui si decora il proprio corpo (con trucchi o cosmetici) o si modificano le caratteristiche fisiche (taglio e colorazione dei capelli, barba o baffi, tatuaggi e piercing), non costituiscono abbigliamento di per sé. Analogo discorso vale per gli articoli che si portano anziché indossare (come borse, ombrelli, bastoni) che son detti accessori.

L’uomo ha dimostrato un’inventiva straordinaria nel trovare nuove soluzioni di abbigliamento ai bisogni pratici, dove la distinzione fra vestiario e gli altri articoli protettivi non è sempre netta.

Impiego sociale

L’esigenza estestica consiste nel valorizzare ed attualizzare il concetto personale o collettivo del ‘bello’, attraverso il modo di abbigliarsi. Tutto questo si esprime nel valorizzare, con l’abbigliamento, le parti più interessanti del nostro corpo e a migliorare quelle meno belle o meno apparenti.
I messaggi sociali inviati dall’abbigliamento, accessori, decorazioni possono riguardare e coinvolgere il ceto sociale, l’occupazione, le convinzioni religiose ed etniche, lo stato civile.

Ceto sociale

In molte società, le persone con alto ceto sociale indossano capi d’abbigliamento e decorazione che li fanno distinguere e comunicano a tutti il proprio status.
Su questo vi sono molti esempi anche storici:
– ai tempi degli antichi romani, solo i senatori potevano indossare vesti tinte con porpora di Tiria.
– sotto il regno Travancore di Kerala (India), le donne di basso ceto devono pagare una tassa per il diritto di coprire la parte superiore del corpo.
– in Cina prima della proclamazione della repubblica Cinese, solamente l’imperatore poteva vestirsi di giallo.
– ancora oggi soltanto altolocati capi Hawaiani possono indossare mantelli di piume e palaoa o denti di balena intagliati.
– in molti casi nella storia si sono elaborati sistemi di leggi per regolamentare l’abbigliamento
– in altre società (comprese quelle più moderne) nessuna legge proibisce a persone di basso ceto di indossare abiti di ceto alto, ma l’alto costo dei prodotti ne limita di fatto l’acquisto e quindi l’esposizione.

Occupazione

Talvolta un singolo capo di vestiario (o singolo accessorio) può servire a rivelare l’occupazione, la mansione, il proprio pesiero, la provenienza geografica o religiosa.
Un particolare abbigliamento può anche esprimere dissenso dalla propria cultura o dal conformismo, come può indicare indipendenza.

L’abbigliamento può anche segnalare la disponibilità di un individuo ad essere corteggiato o essere propenso a flirt occasionali. Ciò però che costituisce sobrietà e sensualità in una cultura può indicare un segnale totalmente diverso in un’altra.

In ogni caso, piccoli cambiamenti dei segnali di decoro possono sovvertire il messaggio originale e segnalare un messaggio assai più complesso, trasversale o trasgressivo.

Il vocabolario dei messaggi indicati dall’abbigliamento (soprattutto quello femminile) è di solito molto sviluppato e complesso ed acquista significati sempre diversi anche nell’intervallo di una sola generazione.

Emancipazione

Già partendo dagli anni ’60, l’abbigliamento assume una fortissima connotazione simbolica in relazione al nascente fenomeno del femminismo:
– inizia l’uso del pantalone (o il jeans) come diritto di non essere più discriminate da una società ancora troppo maschilista
– nasce la minigonna come espressione della libertà femminile, come il diritto di mostrare e gestire autonomamente il proprio corpo

 
Storia

Gli indumenti ed accessori che hanno vestito l’umanità nel corso dei secoli, riassumono le caratteristiche socio economiche e culturali del rispettivo periodo storico.

Dagli abiti si possono studiare le materie prime impiegate, le tecniche di realizzazione, gli aspetti estetici e quelli simbolici, dedurne i fattori economici e le gerarchie sociali.

Nell’abito, da sempre, si condensano alcune caratteristiche:
– quella funzionale (legata alla necessità di coprirsi)
– quella pratica (legata alla vestibilità)
– quella estetica (legata al gusto dell’epoca o ai canoni specifici della comunità quasi sempre tramandati di generazione in generazione)
– quella simbolica (legata alla definizione di appartenenza ad una particolare comunità, atta ad identificare lo status sociale, civile o religioso).

Prime apparizioni dell’abbigliamento

Le ricerche che hanno portato al rinvenimento di oggetti e resti fossili risalenti al Paleolitico non hanno  dimostrato con sicurezza l’utilizzo di oggetti di abbigliamento da parte di ominidi in quel periodo.
Il ritrovamento di rudimentali strumenti in pietra (pietre scheggiate), atti con ogni probabilità alla trasformazione delle pelli in indumenti, ha però portato molti antropologi a sostenere che già 18.000 anni fa, gli uomini utilizzassero pelli per coprirsi.
Si pensa (e credo a ragione) che il motivo fondamentale per cui gli uomini cominciarono a lavorare le pelli, per poi indossarle, fu dipeso dalla necessità di coprire il loro corpo nudo dalle intemperie e dal freddo (un corpo molto più fragile rispetto ad animali muniti di pelliccia naturale).

Non sono comunque da sottovalutare altri fattori simbolici che l’abbigliamento iniziò subito ad acquisire: indossare la pelle di un altro animale era equivalente a identificasi con esso, oltre che a dimostrare la propria forza ed abilità nell’esserci riusciti. Inoltre l’introduzione delle pelli per coprire il corpo nudo ha un legame anche con delle primitive forme di pudore.
Questo contravviene con alcune teorie secondo le quali il senso del pudore sia stata una condizione psicologica successiva dettata dall’abbigliamento: essendo gli altri coperti, l’uomo nudo percepiva la propria diversità dalla norma ed era portato ad equipararsi agli altri per non essere escluso.

Sembra appurato quindi che l’adozione di forme di abbigliamento agli albori della civiltà umana sia dovuta:
– ad un fattore funzionale (di protezione del corpo)
– a fattori simbolici, religiosi e psicologici.

Superata l’età della pietra, una vera rivoluzione si ebbe quando si diffuse la lavorazione dei tessuti (che garantivano maggiore protezione dal freddo e una migliore reperibilità).
La nascita della tessitura, avvenuta intorno al Neolitico, portò ad una notevole crescita dell’uso delle vesti, che venivano tessute anche grazie a primordiali telai.

I tessuti utilizzati variavano a seconda del luogo:
– in Cina era assai sviluppata la produzione della seta
– in India la canapa ed il cotone
– in Egitto il lino
– in altre zone la lana e il bisso.

In Europa i Fenici furono i primi a praticare la tintura dei tessuti, grazie alla scoperta del pigmento della porpora ricavato dall’essiccazione del murice: da questo momento l’abbigliamento non fu più visto esclusivamente come mezzo per proteggersi, ma iniziava a costituire un simbolo di appartenenza.
I popoli mediterranei consideravano la porpora un bene di lusso ed i Fenici ottennero grossi guadagni vendendola alle altre popolazioni.

L’Impero Romano, nella sua grande espansione, venne in contatto con gli usi ed i costumi di molte popolazioni, dalle quali importò l’utilizzo di alcuni tessuti per il vestiario quotidiano o pregiato.
Inizieranno a confezionare abiti come la toga, la tunica ed il pallio, anche la filatura ed anche la tessitura della seta, del lino e della lana diventano comuni a gran parte delle comunità europee.
Di queste tre fibre tessili la più diffusa in questo periodo fu certamente la lana, sia per ragioni economiche (l’allevamento di ovini era ben diffuso) che funzionali (ottime capacità termiche).

Lo sviluppo del settore tessile conobbe un fermento sempre crescente (almeno in Europa), a partire dai primi secoli del I millennio d.C., grazie agli scambi commerciali tra Oriente ed Occidente. In Italia l’importazione di tessuti era uno settore strategico molto vantaggioso per le repubbliche marinare potenziandosi anche il commercio interno verso Firenze, Palermo e Lucca. L’abbigliamento di lusso e pregiato diventò appannaggio delle classi nobiliari, delle corti e dei ceti più abbienti.
La qualità generale delle vesti migliorò anche per le fasce meno agiate grazie all’adozione di strumenti che permettevano maggiore precisione sartoriale (iniziò l’uso del il ditale, degli aghi d’acciaio e le forbici a lame incrociate).

Dal Quattrocento le figure legate all’abbigliamento (sarti, tessitori, venditori di vestiti) acquisiscono sempre più potere economico (e politico).
Sul mercato dell’abbigliamento compaiono ora merletti, velluti pregiati, calze, berretti, tessuti broccati, la cui produzione aumenta di pari passo alla crescita economica e tecnologica.

La vera rivoluzione si avrà però nel 1740 quando, nel pieno della rivoluzione industriale, Joseph-Marie Jacquard inventa un telaio rivoluziomnario che permette di aumentare la precisione e la velocità di produzione dei tessuti. Tale evoluzione si estende anche ai filatoi di cui l’Inghilterra rimase leader indiscusso per molti anni.
Il mercato del vestiario conobbe una crescita continua, la produzione tessile si meccanizza e razionalizza assumendo sempre più grandi dimensioni: l’industria dell’abbigliamento è ormai il settore più sviluppato del periodo.

Il 1842 John J. Greenough brevetta la macchina per cucire, ora gli indumenti possono essere confezionati con grande velocità ed il risparmio di denaro che ne deriva fa sì che la produzione può assumere dimensioni ancora più vaste.
L’industria dell’abbigliamento si specializza a realizzare la produzione in serie dei vestiti, favorendo la creazione di centri industriali tessili e grandi magazzini per la vendita dei prodotti.
Successivamente, il perfezionamento della macchina per cucire permetterà di meccanizzare anche altre operazioni di ricamo, soprafilo, rammendo, cucitura bottoni e punti speciali.

Nel XX secolo l’abbigliamento conobbe una evoluzione straordinaria ed una espansione produttiva e tecnologica senza pari. Frenato solo dai due conflitti mondiali ed i relativi dopoguerra (che portano la crisi economica in molte nazioni), successivamente si ebbe uno sviluppo dell’industria del vestiario ancora maggiore, si introducono, oltre ad una grandissima scelta di nuovi prodotti, anche la disponibilità di nuovi materiali artificiali e sintetici (meno costosi e più adattabili).

Siamo ai nostri giorni: l’industria dell’abbigliamento produce capi per le più disparate situazioni.
Il capo alla moda assume sempre più importanza non solo come espressione di prestigio di pochi privilegiati, ma anche come elemento di appartenenza ad una determinata classe sociale, un determinato gruppo, una certa fascia di età.
Benché la maggior parte della popolazione mondiale non si possa permettere l’acquisto di capi non strettamente necessari, il costo medio di un capo di abbigliamento scende di molto (con il Prêt-à-porter), la richiesta aumenta vertiginosamente, permettendo ad una popolazione sempre maggiore di persone di vestirsi con comodità e di poter spendere in abbigliamento.

Il novecento

Il Novecento vede la nascita del consumismo e l’abbigliamento è sicuramente uno dei primi campi in cui si viene a manifestare questa tendenza. L’acquisto del bene materiale, assume una importanza essenziale nella vita di molti individui, tanto più che i prezzi dei capi d’abbigliamento sono molto più accessibili rispetto ad altri status symbol (come automobili o case).
Nasce la corsa all’acquisto di un bene materiale non per necessità, ma solo per seguire la sfrenata velocità con cui cambia la moda.
Il fenomeno consumistico trova, nell’abbigliamento, il suo culmine fino alla diffusione delle nuove tecnologie (televisori, console, cellulari, computer ecc.) avvenuta a partire dagli anni ’80.
Fino ad allora il vestiario era una delle voci principali di spesa di moltissime famiglie occidentali, prima ancora dell’alimentare, soprattutto tra i giovani.
In questa grande e succukenta torta da spartire anche le grandi case di moda si adattano al fenomeno estendendo la loro produzione a capi meno esclusivi (anche se di costo al di sopra della media) che diventano capi ‘di tendenza’ ambìti da molti e la grande distribuzione di organizza anche con la vendita on-line come su Zalando.it ed altre.

Per fortuna l’ultima crisi economica ha ridimensionato di molto questa pazzia generale ed ha riportato gli umani coi piedi per terra (preciserei volgarmente che la parola ‘piedi’ può essere convertita indifferentemente con la parola ‘culo’).

Saluti