La storia della penna a sfera

17 Settembre 2010 4 di Elvio

La penna a sfera è nata in periodi tempestosi ed ha una storia molto particolare spesso intrisa di avidità, sporchi giochi e trucchi commerciali.

La penna, intesa come strumento per la scrittura, deve il suo nome alla penna d’oca che, accoppiata al calamaio di inchiostro, era il mezzo più diffuso per la scrittura fino ai primi anni del ‘900.
La penna d’oca, opportunamente appuntita, si imbeveva nell’inchiostro del calamaio e sfruttando le pareti della cavità naturale del tubetto di cheratina, permetteva la scrittura di qualche rigo senza dover ricaricare l’inchiostro. Ma l’inchiostro liquido, per sua natura, poteva gocciolare ed imbrattare la pagina scritta, si asciugava con difficoltà e spesso lasciava aloni e sbafi dovuti al contatto con la mano di chi scriveva. Inoltre la punta si consumava facilmente ed il tratto non era mai uniforme alle varie angolazioni.
Per ovviare al problema si inventarono i pennini di acciaio molto più durevoli. All’inizio essi erano molto costosi e venivano forgiati da pochi artigiani esperti, seguì una industrializzazione che ne permise una grande diffusione a prezzi molto ridotti. La scrittura con l’acciaio era però molto meno morbida rispetto alla penna animale e non si risolvevano i problemi di maneggiare l’inchiostro liquido sopra al foglio.

In sostanza scrivere a quei tempi era un vero tormento e richiedeva grande maestria, accortezza e grande esperienza.

Una evoluzione logica alla scrittura ad inchiostro liquido fu data dalla penna stilografica (il primo prototipo fu realizzato da Scheller di Lepizig nel 1780 in bronzo e corno), è rimasta ancora oggi raro strumento per la scrittura di alta qualità, non necessita più di calamaio (in quanto la riserva di inchiostro è interna alla penna) e i suoi particolari sistemi di alimentazione a capillari del pennino, permette una scrittura fluida e scorrevole per molti fogli consecutivi. Era (ed è ancora) uno strumento piuttosto costoso che comunque necessita di accortezze particolari e pulizie frequenti perché l’inchiostro tende a seccarsi e quindi ostruire le capillarità che alimentano il pennino. Essendo considerato uno strumento di elite, si associa ad un bene di lusso a cui non mancano quasi mai inserti preziosi, pennini in oro e scatole raffinate per contenerle.
A dimostrazione di questo non vi sono contratti aziendali, accordi internazionali o pratiche notarili che, ancora oggi, non vengano controfirmate con personali e preziose penne stilografiche sfilate dal taschino della giacca.

Per la scrittura popolare però, fino alla fine degli anni ’50, il mezzo tradizionale e diffuso era ancora rimasto il pennino e calamaio (lo testimoniano ancora i banchi di vecchie scuole di frazione che disponevano del tipico buco sul pianale per inserirvi il contenitore per l’inchiostro). Mancava quindi ancora uno strumento pratico, economico e facilmente trasportabile, un sistema versatile come la matita, ma affidabile e non cancellabile. Uno strumento che in realtà lo si era pensato per molto tempo (si dice che anche il grande Leonardo da Vinci avesse cercato soluzioni in merito), ma le prime proposte interessanti e realizzabili si ebbero solamente nel 1938 quando il giornalista ungherese L