I giovani esclusi dal lavoro

23 Novembre 2012 0 di Elvio

La difficoltà di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro è un problema comune a molti Paesi, ma in Italia è più acuto che altrove tanto che stiamo rischiando di compromettere permanentemente il futuro di un’intera generazione. In realtà non è troppo tardi per intervenire, ma non si può perdere ulteriore tempo prezioso.

Alcuni numeri

In Italia, nella fascia tra i 16 e i 24 anni, solo un ragazzo su quattro riesce a lavorare (in Germania, negli Stati Uniti e nella media dei Paesi europei, sono uno su due).

I ragazzi italiani lavorano meno di altri per due ragioni: sono di meno quelli che realmente cercano lavoro e tra quelli che lo cercano, sono in meno quelli che lo trovano.

La partecipazione alla forza lavoro in questa fascia di età è il 30% in Italia, contro il 51% in Germania, 41% in Francia, 56% negli USA. La disoccupazione giovanile supera il 25% in Italia contro il 19% nell’area Euro, 18% negli USA, il 10% in Germania.

Questo divario impressionante non dipende dal fatto che i giovani italiani studiano di più, e quindi non lavorano perché stanno investendo nel loro futuro perché nella fascia d’età 25-34 anni in realtà gli italiani che hanno una laurea sono solo ilò 18%, cioè meno della metà che in Francia, in Svezia o Stati Uniti.

C’è molta differenza tra Nord e Sud Italia. Mentre la disoccupazione giovanile al Centro-Nord è vicina alla media europea, è molto più alta al Sud. Ma anche al Nord la partecipazione dei giovani alla forza lavoro è molto più bassa rispetto al resto d’Europa.

Un secondo aspetto importante emerge confrontando il tasso di disoccupazione dei giovani (fra i 15 e i 24 anni) con quello degli adulti (25-64). La peculiarità dell’Italia non è solo l’elevata disoccupazione giovanile, ma il divario fra giovani e adulti. Il rapporto tra il livello di disoccupazione dei giovani e quello degli adulti è 4 in Italia (ogni disoccupato adulto ci sono 4 disoccupati giovani) contro il 2,4 dell’area Euro, l’1,4 in Germania.

Questa differenza si riscontra ovunque in Italia, sia al Nord che al Sud; in qualche regione del Nord è addirittura più alta che al Sud.

Per esempio, il rapporto fra disoccupati giovani e adulti è 4,8 in Emilia-Romagna e solo il 3,2 in Sardegna. Questo rapporto è una misura di quanto il mercato del lavoro protegga chi un lavoro già lo ha (gli adulti). In altre parole, il mercato del lavoro in Italia è molto più chiuso ai giovani che in altri Paesi europei e lo è forse di più al Nord che al Sud.

Altro problema è che non solo i giovani in Italia lavorano di meno, ma sono sempre più impiegati in contratti temporanei che sfociano difficilmente in un contratto a tempo indeterminato.

In Veneto ad esempio negli ultimi 12 anni, la percentuale di assunzioni (al di sotto dei 40 anni) con contratti a tempo indeterminato è scesa dal 35 al 15% e le assunzioni a tempo determinato sono salite dal 40 al 60%.

Sono praticamente scomparsi anche gli inserimenti tramite contratti di apprendistato, la cui quota (sempre in Veneto) è scesa dal 25 al 10% e altrove, sempre al nord, è ancora più bassa.

Non si conoscono ancora i dati per il Sud, ma evidentemente le imprese ritengono che altre forme di assunzione siano più convenienti dell’apprendistato.

E’ anche vero che le aziende sono comprensibilmente restie a trasformare una assunzione temporanea in indeterminata per molti motivi, ma tra i primi è che si riescono ad aggirare quelle rigidità legali e fiscali che tendono a strozzare per prima l’impresa (oltre che il lavoratore)

Le conseguenze sono innumerevoli:

– i giovani vivono con i genitori più a lungo

– si sposano più tardi, fanno meno figli

– non accumulano contributi per la loro pensione

Inoltre i lunghi periodi di disoccupazione (da giovani) hanno conseguenze permanenti sulla carriera lavorativa successiva perché rendono le persone meno impiegabili (in Italia l’attesa media per trovare il primo lavoro è di 33 mesi contro i 5 negli USA.

Il Testo Unico sull’apprendistato, approvato da poco dal Consiglio dei Ministri fa un lieve passo avanti, consentendo l’apprendistato agli studenti delle scuole superiori. Esso prevede che questa forma di inserimento nel mondo del lavoro, sia utilizzabile per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione di ragazzi che abbiano compiuto quindici anni. In questo caso la durata del contratto non può estendersi oltre il termine del ciclo di studi, con un limite di soli tre anni (in pratica si ritorna quasi ai vecchi sistemi degli anni ’50 con le scuole di avviamento al lavoro)

Ma in realtà il Testo Unico non fa nulla per ridurre il dualismo del nostro mercato del lavoro, tanto che prevede anche che «se, al termine del periodo di apprendistato, nessuna delle parti esercita la facoltà di recesso, il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato», cioè l’apprendista diventa da un giorno all’altro illicenziabile. Prevedo quindi che poche imprese rinunceranno all’opzione di esercitare unilateralmente il recesso.

In realtà le idee su come riformare il nostro mercato del lavoro per facilitare l’inserimento dei giovani non mancherebbero, ma qualunque buona proposta si scontra sempre con un ostacolo politico quasi insormontabile: l’elettore medio italiano è sempre più anziano. L’età media degli italiani è la terza più alta al mondo e sta crescendo più rapidamente.

Ora se le riforme che favoriscono i giovani richiedono troppi sacrifici agli adulti, è difficile che vengano sostenute da partiti e sindacati la cui vita dipende dal voto e dal veto degli elettori di maggioranza anziani.

Ciò non significa che i genitori italiani non siano interessati al futuro dei propri figli, ma si è creato un sinistro equilibrio per cui i genitori si occupano del benessere dei figli attraverso la famiglia, mentre, come società, adottiamo politiche che danno impossibilità, ai giovani, di rendersi economicamente indipendenti.

La famiglia è diventata quindi il meccanismo di protezione dei giovani dove la pensione dei genitori, pur misera, assicura un minimo di supporto ai figli precari. La loro sopravvivenza è quindi assicurata, ma la crescita, il dinamismo, i sogni ed il futuro degli stessi, no.

Anche nella rete vanno a ruba i siti che offrono lavoro, gli annunci gratuiti lavoro e le proposte di lavoro da casa; riscontrano un numero di visitatori quasi iperbolico, ma la realtà rimane la stessa: contratti a termine e solo per pochi giorni.

Saluti
tratto da un bellissimo testo di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi